Sentii una musica rada e distante
confusa nell'aria
e sciolta tra i suoni e i rumori.
Della gente e le auto,
della città piccola e semi-deserta.
E sentii un calore forte, allora,
come di vivo imbarazzo,
Un calore forte nel cuore
di gioia ridente e di nostalgia.
Poi chiusi gli occhi, e sereno
mi addormentai.
Chè finchè i ricordi tornavano a galla,
ne ero certo, ogni cosa
avrebbe trovato il suo posto.
Ogni problema la sua soluzione.
Ogni labbra il suo labbro,
ogni occhio il suo sguardo.
Eppure un presagio di morte
pervadeva quei ricordi così forti.
Quel sapore
dolce di malinconia
che soltanto alla fine di ogni cosa
si trova il tempo di assaporare.
Poco adatti all'estate
e così lontani dall'inverno.
Arenati tra l'inferno e il cielo,
in una dimensione altra,
ma coscienti della loro natura informe
e del loro peso.
Affezionati a me,
granelli sottili di polvere e luce.
Restarono lì ancora.
E non vollero mai più andar via.
Come a voler contraddire
ogni legge della mente e del cuore
ti ricordano il dolore
per farti assaporar meglio
la bontà delle cose.
E il feto incosciente grida vittoria
che ha già chiara la sorte
morbida di seni e di mani.
Chè ha sognato la vita e
non vede l'ora di svegliarsi.
Venni al mondo come tutti urlando
per poter più ridere quando andrò via.
Ogni cosa è al suo posto.
Torna la musica
e comincio a danzare.
Non era la fine, era l'inizio.
Lo stesso sapore, la stessa infinita, dolce, rivoluzione.
ON AIR: Cat Stevens - Don't be shy
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