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Cronache da Altroquando

mercoledì 17 giugno 2009

Fuga andata e ritorno


Che spesso ce ne vogliamo andare.
Scappare, fuggire da questa melma che ci circonda e ci assale.
Politici, telegiornali, ignoranti che bussano sempre e quando apri non entrano.
Chiudersi fuori, nell'arte e nel sogno.
Che spesso si rischia di astrarsi, però. Che con la realtà bisogna farci sempre i conti.
E allora pensiamo alle cose belle, a quante ce ne sono.
Ed è così, che chiusi in noi stessi, riusciamo a pensare agli altri, riusciamo a pensare ad altro. In overdose di pensiero e pace, riusciamo ancora una volta a portare un pò di nostro dove prima non c'era.
Non ci faremo fottere dalla superficialità del nostro tempo.
Lasciateci pensare, solo un momento. Godere della diversità, della solitudine.
Solo un momento.
Poi lasciate che torniamo. Che senza non ce la facciamo.
Che di volere andar via ci piace fingere, sol per poter ritornare.
E ancora godere. Ancora andare.

Al mio cantuccio, donde non sento
se non le reste brusir del grano,

il suon dell'ore viene col vento

dal non veduto borgo montano:

suono che uguale, che blando cade,

come una voce che persuade.


Tu dici, è l'ora; tu dici, è tardi,

voce che cadi blanda dal cielo.

Ma un poco ancora lascia che guardi
l'albero, il ragno, l'ape, lo stelo,
cose ch'han molti secoli o un anno

o un'ora, e quelle nubi che vanno.


Lasciami immoto qui rimanere

fra tanto moto d'ale e di fronde;

e udire il gallo che da un podere

chiama, e da un altro l'altro risponde,
e,
quando altrove l'anima è fissa,

gli strilli d'una cincia che rissa.

E suona ancora l'ora, e mi manda
prima un suo grido di meraviglia

tinnulo, e quindi con la sua blanda

voce di prima parla e consiglia,

e grave grave grave m'incuora:

mi dice, è tardi; mi dice, è l'ora.

Tu vuoi che pensi dunque al ritorno,
voce che cadi blanda dal cielo!

Ma bello è questo poco di giorno

che mi traluce come da un velo!

Lo so ch'è l'ora, lo so ch'è tardi;
ma un poco ancora lascia che guardi.

Lascia che guardi dentro il mio cuore,
lascia ch'io viva del mio passato;
se c'è sul bronco sempre quel fiore,
s'io trovi un bacio che non ho dato!
Nel mio cantuccio d'ombra romita
lascia ch'io pianga su la mia vita!

E suona ancora l'ora, e mi squilla
due volte un grido quasi di cruccio,
e poi, tornata blanda e tranquilla,
mi persuade nel mio cantuccio:
è tardi! è l'ora! Sì, ritorniamo
dove son quelli ch'amano ed amo.


(Giovanni Pascoli - L'ora di Barga - dai Canti di Castelvecchio - 1900)


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1 commento:

Anonimo ha detto...

prova